Togliere o lasciare?

Il problema dell’adenotonsillectomia può essere sicuramente considerato uno dei più dibattuti negli ultimi trent’anni nel campo medico. Da un atteggiamento interventista al massimo dell’era preantibiotica, in cui la rimozione chirurgica di adenoidi e/o tonsille avveniva quasi di routine, si è passati agli anni 80 e 90 ad una tendenza nei confronti della tonsillectomia e della adenoidectomia, singole o combinate in un unico intervento, un atteggiamento sempre più conservativo, espressione di un approccio più razionale per casi selezionati.
Le tonsille palatine e le adenoidi costituiscono una difesa contro le infezioni virali e batteriche attraverso la produzione di anticorpi: riconoscono gli agenti esterni e permettono che si realizzi un efficiente sistema difensivo generale. Queste funzioni di difesa delle tonsille e delle adenoidi non sono, però, costanti e sempre ugualmente importanti nel tempo. Infatti, come altri organi del corpo umano, anche queste strutture vanno incontro ad una involuzione fisiologica: nella prima infanzia hanno la massima capacità di difesa immunitaria, alla quale corrisponde una maggiore incidenza delle infezioni tonsillari acute, nella seconda infanzia vi è una riduzione della funzione difensiva e della frequenza delle manifestazioni infiammatorie. Successivamente la capacità immunogenetica non scompare totalmente come avviene per le adenoidi, ma diviene meno importante in quanto l’organismo ha raggiunto la sua maturità immunologia, ha cioè completato il suo sistema di difesa. Quindi, per un corretto orientamento medico nei confronti dell’adenotonsillectomia ci si dovrebbe attenere a questo indirizzo di massima: se non esiste la certezza che le tonsille e/o le adenoidi provochino danni nettamente superiori ai loro effetti protettivi è meglio soprassedere alla loro asportazione chirurgica. Il bambino che presenta frequenti mal di gola dovrebbe essere sottoposto ad un trattamento medico (immunomodulatori, antibiotico-terapia, se indicata) che gli consenta di superare gli anni di particolare sensibilità nei confronti dei processi infettivi (3-7 anni).
Premesso che la maggior parte delle infezioni delle prime vie respiratorie è di natura virale e non batterica e che spesso genitori ansiosi, considerando l’intervento chirurgico come una “panacea”, tendono inconsciamente ad esagerare la gravità della malattia dei loro figli, bisogna dire che la tonsillite cronica non costituisce un problema abbastanza grave da consigliare la tonsillectomia.
L’intervento chirurgico può, invece, essere proposto in un bambino che sia andato soggetto a ripetute infezioni streptococciche tonsillari, ( 7 o più episodi nel corso di un solo anno, 5 o più episodi all’anno per due anni successivi o 3 o più episodi all’anno per tre anni successivi) osservate direttamente dal medico e documentate dai risultati degli esami di laboratorio.
Alcune di queste indagini di laboratorio, molte volte valutate indipendentemente dal contesto clinico e per troppo tempo considerate determinanti per il ricorso al chirurgo, non sono assolutamente probanti in tal senso, in quanto spesso, anche dopo la tonsillectomia, rimangono con valori invariati ed elevati.
Anche la presenza di una semplice ipertrofia tonsillare senza febbre, magari associata alla comparsa delle cosiddette “placche in gola” non costituisce un presupposto sufficiente per consigliare l’intervento chirurgico. Infatti, in molti bambini, compresi molti di quelli le cui tonsille entrano praticamente in reciproco contatto sulla linea mediana, l’ipertrofia tonsillare non è tale da provocare disturbi e quindi il reperto può essere considerato nei limiti della norma. Solo in presenza di tonsille così grosse da ostruire l’istmo faringeo, con conseguenti difficoltà nell’alimentazione e/o turbe della respirazione con persistente russamento notturno e frequenti crisi di apnea, s’impone una chirurgia senza troppi indugi.
Alcuni specialisti propongono in questi casi, specialmente se il bambino è molto piccolo, l’asportazione anche di una sola tonsilla, o una procedura di tonsillotomia (asportazione parziale delle tonsille) con il duplice scopo di migliorare la respirazione senza incidere sulla funzione immunogenetica. In passato la tonsillectomia era raccomandata in tutti i pazienti con ascessi peritonsillari dopo diverse settimane dall’episodio acuto (trattato con terapia antibiotica e incisione e drenaggio della raccolta asessuale, avendo cura di ricorrere a sciacqui del cavo orale al fine di ottenere una attenuazione della sintomatologia locale). Tale precauzione era attribuita alla presunta alta frequenza di recidiva dell’ascesso, ma dati recenti tendono a ridimensionare questo rischio. In rari casi un’asimetria tonsillare o altri segni suggestivi di una patologia neoplastica, costituiscono una chiara indicazione alla tonsillectomia.
Sebbene un’asimetria tonsillare possa talvolta essere indotta da processi infiammatori, il rapido ingrossamento di una sola tonsilla, in assenza di infezione, depone fortemente per una patologia tumorale, evenienza, però, alquanto rara nel bambino.
Per quanto riguarda l’adenoidotomia, eseguita da sola o associata alla tonsillectomia, l’unica indicazione su cui tutti gli autori sono d’accordo è quella dell’ipertrofia delle adenoidi di grado tale da costringere il bambino a respirare dalla bocca con conseguenti ulteriori complicazioni anche a carico del palato e delle arcate dentarie.
Controversa è, invece, l’opportunità dell’adenoidotomia nel bambino affetto da otite media secretiva in assenza di difficoltosa respirazione nasale da ipertrofia adenoidea (lo scrivente, per convinzione sua e di scuola di appartenenza, rigorosamente non considera l’otite media secretiva una indicazione all’adenoidotomia se il bambino ha una regolare respirazione nasale).
La tonsillectomia e l’adenoidotomia, infine, singole o combinate in un unico intervento, sono controindicate nei bambini affetti da malattie emorragiche o da disturbi della coagulazione o affetti da palatoschisi completa o sottomucosa.